Da poco più di un mese si è concluso con una piece teatrale alternativa, il laboratorio teatrale condotto per tutto il 2023 dall’attore Gilberto Colla a Casa “Sebastiano”, Coredo, in Val di Non.
La Casa ospita 18 giovani ragazzi/e con autismo e parte di loro hanno partecipato al progetto teatrale Dueluglio – Distrubi di scena, frutto di una donazione singolare di due giovani sposi. La pista artistica era già stata battuta qualche anno fa dal laboratorio di pittura, con opere realizzate da questi giovani che, proprio per la loro particolare percezione del mondo riescono a dipingere una realtà che non si lascia condizionare da variabili di contesto. Il poeta Guido Oldani, fondatore del realismo Terminale e amico di Casa “Sebastiano”, ha pensato bene di chiamare questo speciale movimento: Indipendentismo, per evidenziare la traiettoria originale che si prefigura nel tratteggio artistico di questi pittori speciali.
Ma cosa è successo di unico nei partecipanti del laboratorio teatrale? Perché il teatro, con la sua pratica sperimentale, possiamo raccoglierlo nel più ampio dominio della comunicazione?
Anche i sassi ormai sanno, che la comunicazione, il linguaggio e la relazione sociale nelle persone con autismo sono compromessi; ciò significa che pur desiderando di esprimersi secondo i loro desideri ed intenzioni, nella pratica il messaggio non coincide affatto con l’intenzione vera. Se vogliono un oggetto, non trovano le parole, altre volte il corpo viene utilizzato come strumento per trasmettere richieste o disagio, le emozioni sono percepite ma non incanalate espressivamente secondo modalità convenute.
Sappiamo poi che le persone con autismo faticano ad imitare, copiare, provare empatia, identificarsi con qualcuno, modulare la voce, sintonizzarsi con un compito, ripeterlo, bloccarsi in risposta ad un comando.
Non parliamo poi del fatto che raramente si guardano l’un l’altro, si cercano o eseguono giochi condivisi, triangolando (così si dice) con terze persone. Anzi, talvolta i rumori sono amplificati, le sensazioni percepite come dolorose o fastidiose dando luogo a comportamenti molto sregolati.
Che dire poi dello stare ore ad ascoltare, guardare, o ripetere delle sequenze, alle volte senza senso apparente – mi viene in mente l’esercizio del manichino, in cui Colla articola una serie di fili immaginari muovendo gli arti di un ragazzo finto morto sopra un tappetino, mentre tutti aspettano di fare il turno del morto.
Quante volte mi sono nascosta per seguire il loro lavoro, anch’io catturata dalla presenza materica di quell’essere misterioso che iniziava a vivere durante il laboratorio, frutto vivente del lavoro di gruppo. Ho sentito bisbigli diventare grida e il suolo piangere ad ogni passo, gridando HAI! HAI! HAI! Portare per ore una maschera sul volto, facendo finta di essere qualcun altro, recitando una piccola parte, senza batter ciglio, rapiti dalla suspance della scena.
Il laboratorio teatrale, così formulato, come strumento abilitativo non farmacologico, che ridisegna il linguaggio del corpo, permettendo ai pensieri, quindi alle parole non dette, di trovare un luogo, un tempo e un significato condiviso per esordire. Certo, è necessario che l’Altro (Colla in questo caso) diventi di volta in volta un orecchio, uno sgabello, una scala, una monaca, qualsiasi alterità che provoca e induce. La voce dunque come attrezzo di scavo, picchetto per pareti verticali, il tono un interruttore che accende o spegne l’empatia.
Mi domando se, a questo livello, sia così necessario produrre uno spettacolo o una piece rappresentativa, oppure considerare l’attività, per le persone con autismo, come vera abilitazione alla comunicazione, relazione e linguaggio considerando la reale finalità di questo lungo percorso laboratoriale di teatro. Certo è che ancora avremo la possibilità di inventare seguendo le ispirazioni che via via sopraggiungono in quel non luogo che è il teatro.
Dott.ssa Annachiara Marangoni
Direttrice Socio Sanitaria