Ogni idea che nasce dall’esperienza vissuta ha un valore speciale, soprattutto quando sa trasformarsi in un messaggio universale.

È il caso di “L’Abbraccio”, il progetto universitario di Alessia Zanotti e Leonardo Sech, studenti dell’Università IUAV di Venezia, che hanno scelto di dedicare il loro lavoro al tema dell’abitare per persone adulte nello spettro autistico. Un tema che ci sta particolarmente a cuore: Alessia ha conosciuto da vicino Casa “Sebastiano” e ne ha tratto ispirazione per immaginare nuovi modi di pensare l’architettura come luogo di vita, cura e inclusione per persone adulte con autismo. Abbiamo deciso di raccontare la loro esperienza attraverso un’intervista ad Alessia, perché questo progetto rappresenta bene ciò in cui crediamo: l’incontro tra competenza, sensibilità e desiderio di costruire un futuro più accogliente, facilitando l’adattamento al vivere quotidiano per persone nello spettro dell’autismo.

Alessia, ci racconti come è nato il progetto “L’Abbraccio” e quali riflessioni personali o studi ti hanno portata a scegliere di lavorare proprio sul tema dell’abitare per persone adulte nello spettro autistico?

Il progetto “L’Abbraccio” nasce da un bisogno concreto: creare un luogo stabile e accogliente per persone adulte nello spettro autistico. La scelta di lavorare su questo tema è legata a motivazioni personali, mie e del mio collega Leonardo, con cui ho sviluppato il progetto. Entrambi abbiamo in famiglia persone con disabilità e questo ci ha permesso di osservare da vicino le difficoltà nel trovare un contesto di vita adeguato e stimolante. Nel mio caso, la spinta è arrivata da mio fratello Francesco, che è autistico. Dopo un anno e mezzo trascorso a Casa “Sebastiano”, dove ha potuto vivere un percorso di crescita e autonomia, oggi ci troviamo come famiglia di fronte a una sfida: trovare per lui un luogo stabile, dove possa continuare a vivere e crescere, senza interrompere i percorsi riabilitativi avviati. È un tema complesso, perché in Italia le strutture residenziali per l’autismo sono poche, e spesso le alternative non rispondono alle esigenze di persone giovani e desiderose di vita attiva. L’emancipazione non dovrebbe arrivare solo per necessità, ma essere un passaggio naturale, come per ogni persona. Il progetto nasce proprio da questa riflessione e fa parte del corso “Laboratorio d’anno 3” tenuto dalla prof.ssa Margherita Vanore all’Università IUAV di Venezia. “L’Abbraccio” si colloca sull’isola dell’Unione, tra Chioggia e Sottomarina, e vuole offrire una residenza permanente in un luogo inclusivo, vitale e ben integrato con il territorio.

Il titolo del progetto richiama un gesto umano molto intimo: in che modo hai tradotto l’idea di “abbraccio” nello spazio architettonico e quali scelte ti sono sembrate più importanti per creare un ambiente sicuro, accogliente e al tempo stesso stimolante?

Tutto è partito da un oggetto che mi aveva colpito alla Fiera del Mobile di Milano nel 2022: OTO the Hugging Chair di Alexia Audrain, una sedia che avvolge e protegge chi la utilizza. Da lì è nata la riflessione su come l’idea di abbraccio potesse tradursi in architettura. Non sempre, infatti, l’abbraccio fisico è tollerato da chi ha un’elevata sensibilità sensoriale, perciò abbiamo voluto reinterpretarlo come condizione spaziale: un abbraccio visivo e percettivo, che trasmette protezione senza opprimere. Ne sono nate forme curve e morbide che si sviluppano attorno a una corte interna, creando così spazi che favoriscono autonomia e movimento in sicurezza. “L’Abbraccio” vuole essere molto più di un edificio: un luogo di vita, di relazioni e di benessere quotidiano.

Uno degli aspetti centrali del progetto riguarda l’attenzione alle esigenze sensoriali e relazionali delle persone con autismo: ci puoi spiegare come hai lavorato su materiali, luce, colori e distribuzione degli spazi?

Ogni scelta è stata pensata per sostenere il benessere sensoriale e l’autonomia. Abbiamo utilizzato superfici naturali calde e tattili, come il legno; colori neutri e delicati per ridurre lo stress visivo, con punti di colore per orientarsi meglio negli spazi. La luce naturale entra in modo controllato grazie a grandi vetrate e schermature solari, garantendo comfort e privacy. La distribuzione degli ambienti segue un unico percorso chiaro e leggibile, che accompagna la persona dall’ingresso fino alla zona residenziale, favorendo socializzazione e tranquillità. L’obiettivo è creare una casa prima che un centro di cura, dove sentirsi accolti e autonomi. Il cuore del progetto è la corte interna, elemento di riferimento visivo e spazio sicuro. L’obiettivo è creare una casa prima che un centro di cura, grazie alla separazione delle funzioni abitative da quelle curative.

Durante la progettazione hai studiato normative, esperienze esistenti e anche modelli innovativi come Casa “Sebastiano”: in che modo queste ricerche hanno influenzato le tue scelte?

Gli strumenti principali utilizzati sono stati le normative della regione Veneto, attraverso le quali abbiamo potuto progettare con la consapevolezza di cosa si può e si deve fare in ambito socio-sanitario. Parallelamente la consultazione di libri e tesi di laurea ha fornito un grande quadro teorico, alcuni trattando solo il tema della progettazione di strutture sanitarie, altri entrando anche nel dettaglio della progettazione attenta al disturbo dello spettro autistico, in particolare per aspetti legati al benessere e alla qualità degli spazi. Sicuramente fondamentale è stata la conoscenza diretta di Casa “Sebastiano”, non solo mediante una visita effettuata ma soprattutto grazie al confronto con la Dott.ssa Annachiara Marangoni, Direttrice socio-sanitaria della struttura. La sua consulenza è stata preziosa per comprendere le dinamiche quotidiane e le necessità sia di utenti che di operatori. Grazie alla sua disponibilità abbiamo potuto chiarire dubbi e riflettere sulle potenzialità di Casa “Sebastiano”, ma anche sulle criticità e gli errori da evitare. La teoria e l’osservazione diretta, attraverso un appropriato studio progettuale esteso al contesto, si sono tradotte in scelte architettoniche concrete, quali un’organizzazione spaziale chiara e leggibile, il passaggio graduale da spazi pubblici a privati e la scelta di un’illuminazione naturale diffusa.

Un elemento distintivo del progetto è il giardino sensoriale e i percorsi terapeutici all’aperto: quali funzioni hanno e che tipo di esperienza vorresti offrire agli ospiti attraverso questi spazi?

Il giardino sensoriale, ispirato a quello di Casa “Sebastiano”, è pensato come un vero e proprio parco dei sensi, che si sviluppa attorno all’edificio. Comprende aiuole aromatiche e colorate, un giardino del suono, spazi per la contemplazione, orti comunitari e percorsi tattili e motori. Il giardino è parte integrante del progetto urbano e vuole estendere l’esperienza alla comunità. L’obiettivo è quello di favorire benessere e integrazione: spazi aperti a tutti dove la stimolazione sensoriale diventa occasione di incontro e relazione.

Se pensi al futuro, quali sono secondo te le sfide principali che l’architettura dovrà affrontare per rispondere ai bisogni delle persone fragili e, più in generale, per costruire luoghi che sappiano prendersi cura?

Credo che la sfida principale sia quella di sensibilizzare al tema della fragilità. L’architettura deve farsi strumento di inclusione, capace di accogliere vulnerabilità diverse attraverso spazi ben pensati. Progettare per la fragilità significa ricordarsi che si sta costruendo la casa di qualcuno, un luogo di vita e non solo di cura. Dovrà essere un’architettura partecipata, sostenibile e capace di far sentire chi la abita parte di un contesto sicuro, sereno e familiare. Significa non solo garantire accessibilità, ma anche sostenibilità ambientale ed economica, realizzando edifici di qualità a costi e tempi contenuti.

Un grazie ad Alessia e al suo collega Leonardo per aver condiviso con noi questo percorso di ricerca e di umanità.